01/06/2005 0.00
La poesia della salvezza: Franco Manzoni
Franco Manzoni è un poeta che ha scoperto l’identità
al calor bianco come modo di penetrare “l’intimità più
intima”. La forza della persuasione è tutta nel dire e nel far
capire, nel significare. Manzoni si sente felicemente immerso
in situazioni che generano parole di salvezza, dentro un
sistema di connessioni vitali, di amicizie, amori,
frequentazioni, eredità di famiglia. Solo attraverso lo
svelare ciò che di solito resta pudore e riservatezza, si può
conoscere l’uomo e il suo giacimento interiore più prezioso.
Manzoni gioca la sua scoperta insindacabile in un questa
sponda con la verità (segreta) che viene aspirata senza
reticenza. En sombra de grito (Madrid, Devenir, 2001), è
l’antologia bilingue uscita in Spagna per le edición de Emilio
Coco, e che offre il panorama più esaustivo di una lunga
vicenda poetica iniziata negli anni ottanta. Manzoni, nato a
Milano nel 1957, giornalista, paroliere, responsabile della
rivista “Schema”, collaboratore del “Corriere della Sera”, si
presenta al pubblico italiano e spagnolo con la sua “carezza
gentile”, come in un verso sancisce, in un viaggio di anima e
corpo, di luci e ombre, di dicotomie conciliabili in un sogno
eternamente vivo perché realizzabile. Sogno di purezza, di
fanciullezza, ma soprattutto di disarmante sincerità. E’ la
poesia dei genitori, dei padri, delle madri quella che
richiama in modo indefettibile il tremore del ricordo. Se la
spudoratezza è veramente autentica, il poeta ha centrato il
suo scopo e fa presa sul lettore. Annusare l’aria, amare e
ringraziare: gesti umili e impossibili da dimenticare. E’
gioia perfino affrontare l’agonia, ci dice Franco Manzoni in
uno dei suoi versi più riusciti. Un onesto canzoniere e il
sigillo della sua poesia, mai smaccatamente autoreferenziale
pur nei tratti autobiografici, ci consegna il segno della
“scavatrice” che è andata a fondo e ha estratto le pepite, per
dirla con Caproni. E’ il prendere le distanze anche da se
stesso, che fa sembrare questa poesia un’elaborazione alla
resistenza contro la deperibilità del tempo, dell’avvicendarsi
dei morti e dell’età più giovane. L’uomo contemporaneo potrà
salvarsi solo in un ordine sapiente dei suoi affetti, delle
sue aperture al mondo mai artefatte. Quando Manzoni
pubblicò Figlio del padre (Castelmaggiore, Book Editore,
1999), si capì definitivamente che il filo di continuità, quel
nesso mai spezzato tra l’essere figlio e l’essere padre, aveva
contagiato l’universo e il “segreto abbraccio da socchiudere”
dell’uomo alla ricerca spasmodica delle sue radici, dei
principi saldi di chi continua nell’odierno tramandando la
propria eredità di sguardi, di tratti somatici, di sapienza:
appunto, di verità (“non vengo per caso da un qualcuno / son
figlio del padre di mio padre / figlio del padre servo di
nessuno / un grande padre capace di chiedere perdono / sfidare
i giorni gridando d’amore…”). Franco Manzoni riporta in
superficie i suoi protagonisti, che sono anche persone non
delineate nella loro completezza, nel loro ruolo. Il
campionario è vasto oltre la famiglia, è un’eco di esistenza
(come recita il titolo di una poesia) irradiata in più cerchi
concentrici. Il presente ricuce la speranza, l’inquietudine,
un tutto che si esplica nella “sinfonia” musicale del verso:
ritmico e secco, mai ansiogeno. La pacificazione di Manzoni
incrocia situazioni strettamente personali e il senso della
storia, della lontananza, del riappropriarsi di qualcosa che è
svanito, o meglio che non si può trattenere (“vado via / in
ombra di grido / a te m’affido ancora sempre / squarciandosi
il nero velo della mente”). Guido Oldani parlò di assetto
tagliente e sonoro. Sbocciano le generazioni e il tempo va di
fretta, sembrerebbe dirci Franco Manzoni. Ma la partita non è
persa, non è mai resa: la tenacia in questo essere e rimanere
figlio e padre, è anche il carattere di una visione sensitiva.
Non contano le cose senza la loro sostanza. “L’ora tempera il
cervello” quando dietro c’è un’immagine, un sibilo, una gioia
che non si stanca di affiorare, come in un canto che viene dal
proprio sole.
Alessandro Moscè
Creato da giuliana il
01/06/2005
21.38 |